Silvia: “Ho barattato l’angoscia della mia storia con la bellezza che la vita mi dona”
Sono trascorsi più di 50 anni da quando don Oreste Benzi, sacerdote riminese e fondatore dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, decide di coinvolgere alcune famiglie nell’avventura di dare vita a “case-famiglia” o divenire genitori affidatari.
Tra queste a un certo punto ci sono anche Ermanno Tomassini e Giuseppina Dolci, che vivono nell’entroterra riminese, a Villa Verucchio.
Dopo un paio di esperienze di accoglienza in casa loro arriva Silvia, poco più che quattordicenne.
Silvia oggi è una donna adulta, lavora come Oss in una struttura residenziale per anziani.
Timida, riservata ma con una spiccata sensibilità che trova forma nella scrittura.
Così, grazie ad alcuni amici, tra cui Guido Fontana, ha recentemente pubblicato una raccolta di poesie, che contiene tanto di lei e della sua storia. Ci incontriamo a cena, a casa di Giuseppina e Ermanno. Le parlo di Agevolando e le chiedo di condividere con noi la sua esperienza.
Silvia, ti va di raccontarci qualcosa di te e della tua storia?
Sono cresciuta con mia nonna e mia madre per qualche anno. Mia madre non si era accorta subito di essere incinta e aveva deciso che mio padre non dovesse fare parte della mia vita. Quando avevo due anni mia madre conosce un altro uomo e rimane incinta di mia sorella. Si sposano e vanno a vivere a casa dei suoceri. Da quel momento inizio a sentirmi poco gradita e mi fanno sentire di non essere parte di quella nuova famiglia e per lo più sbagliata. Vivo con mia nonna che è stata molto generosa a tenermi con lei e a suo modo mi ha dimostrato affetto, ma era una persona problematica che soffriva di un forte esaurimento nervoso. Il compagno di mia nonna mi ha fatto da nonno, mi ha dato affetto e mi ha insegnato la calma e ad osservare le piccole cose. Purtroppo, è morto quando avevo 12 anni. Nel paese dove vivevo molte persone mi hanno aiutato e voluto veramente bene, altre fatta un po’ soffrire. A scuola sono sempre stata l’ultima e la meno intelligente, spesso presa in giro perché vista un po’ diversa. Ho continuato a vivere con mia nonna fino ai 14 anni poi, per diversi motivi, chi di competenza mi ha trovato una famiglia affidataria. Ora sono una donna adulta, vivo da sola, faccio un lavoro che mi piace. Di tanto in tanto vivo ancora angosce interne ma ho imparato a barattarle con la bellezza che la vita mi dona. Mi ritengo fortunata perché la vita mi ha fatto soffrire ma mi ha portato anche ad incontri meravigliosi. L’ultimo regalo che la vita mi ha fatto è stata l’opportunità di conoscere e fare parte di un gruppo di volontari clown in cui ho conosciuto persone di una sensibilità, semplicità, voglia di donare e dolcezza uniche.
Come hai scoperto la tua inclinazione e passione per la scrittura?
Non so bene come sia nata in me la passione per la poesia. Ad un certo punto i pensieri hanno avuto bisogno di tramutarsi in parole scritte. E il disordine che stava nella mente ha avuto bisogno di placarsi e mettersi su un foglio. Scrivere mi ha molto aiutato nel mio percorso di vita. Diciamo che la poesia mi ha “salvato” ed è stato un modo per incanalare le emozioni, sopravvivere nei momenti difficili e tenersi strette le piccole gioie. Un modo per vivere più intensamente la realtà. Quello che scrivo prende spunto da quello che vivo e da quello che ho vissuto: un pensiero, un’opinione, un’emozione. Dentro di me quando scrivo sento il ritmo della poesia e ne disegno l’immagine con le parole. La poesia solitamente mi pacifica, sia che scriva di esperienze di gioia che di dolore. Quando scrivo vuol dire che sto un po’ meglio. Questo oggi come ieri.
Della tua esperienza di Affido che cosa conservi? Cosa è andato bene e cosa invece avresti cambiato?
Della mia esperienza di affido conservo un legame di affetto che continua negli anni, un incontro positivo, una famiglia su cui ancora contare. Penso l’esperienza sia stata positiva, nonostante qualche difficoltà, perché le persone che mi hanno accolto l’hanno fatto come gesto d’amore. E le cose fatte con amore portano bene. La cosa forse più negativa è che ero abbastanza grande, avevo già quasi 15 anni e avevo bisogno di trovare un’identità oltre la mia storia. Avevo bisogno di avere un posto nel mondo legato solo a me stessa, essere quel che ero senza essere etichettata, non sentirmi diversa. Comunque, sono sentimenti che vivono tutti i giovani con un po’ più di voglia di riscatto. A conti fatti non cambierei nulla.
Quale messaggio vorresti mandare a ragazzi e ragazze che oggi vivono esperienze simili alla tua?
A ragazzi che vivono esperienze simili alla mia, vorrei dire che ogni persona vale di più della storia che ha vissuto, che nella vita c’è tanto dolore e in ugual misura c’è tanta gioia. Che ci si può riscattare. Di essere se stessi, che ci sarà sempre qualcuno a cui piacerete per quello che siete. Di essere curiosi e di sognare. Di amare e farsi amare. E se qualche pena vi attraverserà, sognate più forte e lottate per ciò che vi dà gioia. Parlate e fatevi aiutare. Trovate una passione che vi riempia di buonumore le giornate, un piacere da coltivare, qualcosa che vi occupi cuore e mente. Ricavatevi momenti e persone che vi facciano sorridere.
E di sorrisi ce ne sono ancora, tra Silvia e Giuseppina, mentre le guardo davanti a una cena preparata con cura e poi condivisa, mentre parlano al telefono con le nipotine di Giuseppina. Tra parole di complicità e silenzi ancora necessari, in questa casa in campagna piena di foto, oggetti della tradizione romagnola, ricordi. Mi dice Giuseppina: “L’affido è un’esperienza che porta una ricchezza incredibile, ma ti obbliga anche a metterti in gioco nelle tue fragilità, a conoscersi e accettarsi. Io con Silvia ho fatto degli errori, all’inizio le stavo troppo addosso, insieme a mio marito abbiamo dovuto trovare un equilibrio ma è un’esperienza talmente bella che ne vale sempre la pena e la rifarei. Come ha scritto Erri De Luca, la maternità non è un fatto solo della donna, ma un fatto sociale. Allo stesso modo anche l’affido è importante che sia vissuto all’interno di una comunità e in un contesto più ampio”.
L’affido come un’esperienza comunitaria, ma anche un gesto d’amore. Entrambe dimensioni che concorrono a fare in modo che un’esperienza difficile si trasformi in una nuova opportunità di vita. E a casa di Giuseppina e Ermanno, insieme a Silvia, questo si respira e sperimenta.
A Silvia auguriamo che le sue parole e le sue poesie possano raggiungere e toccare il cuore di tanti. Sicuramente ha già toccato il nostro.
A cura di Silvia Sanchini
Per ricevere il libro di poesie di Silvia Nicoletti scrivere a giuseppinadolci@gmail.com