Custode di legami e di ricordi
La comunità è stata la mia seconda casa per tanti anni, ho accolto tanti ragazzi e ho sempre cercato, non è detto che ci sia riuscita, di ascoltare ogni ragazzo, di giorno e a volte anche di notte, e di fargli compagnia durante i loro pranzi al rientro da scuola seppur molto scaglionati. Ho sempre cercato di farlo sapendo quanto fosse stato importante per me da ragazza quando mia mamma interrompeva quello che stava facendo e si sedeva accanto a me. Era un modo per dire: ci sono, ti penso, ti ascolto e mi fa piacere stare con te.
Mi sono affezionata molto ai ragazzi che ho conosciuto e ho sempre pensato che loro avessero diritto ad avere qualcuno che pensasse e si interessasse a loro, non con l’idea di sostituirsi ai loro genitori con i quali ho cercato di collaborare il più possibile per far sì che fossero presenti nelle vite dei loro figli. A volte questa cosa è stata possibile ed è stato davvero emozionante poter vedere dei ricongiungimenti, a volte non è stato possibile invece ed è stato più faticoso: quanti momenti difficili affrontati stando a fianco di ragazzi che non ricevevano la telefonata tanto aspettata o ai quali venivano rivolte parole dure direttamente dai loro genitori.
Adesso sono molto gratificata quando ricevo una telefonata di un ragazzo emozionato che ha appena preso la patente e mi chiama per condividere questa sua gioia, di un ragazzo che rientra dall’estero dove lavora e gli fa piacere rivedersi, di un ragazzo disperato che è in un momento di difficoltà e mi chiama perché sa che ci sono. E pensare che in comunità non ero tanto amata, ero la classica educatrice un po’ rompiscatole con cui molti speravano di non doversi imbattere: mi sono scontrata a lungo ma mi scontravo perché ci tenevo, perché se un ragazzo non andava a scuola non mi arrendevo alla prima sveglia o se avevo qualcosa da dirgli piuttosto allungavo il turno ma non andavo a casa senza aver parlato con lui. Ecco, questo tipo di legame penso che non paghi molto nel tempo della comunità ma mi sembra di aver capito che alla lunga ha i suoi frutti, che i ragazzi percepiscono questo legame e che poi, soprattutto nel momento del bisogno, ma anche nei momenti di gioia, sono contenti di avere qualcuno a cui potersi riferire e su cui contare.
Per i ragazzi questo è fondamentale per cui credo che la cosa migliore sia creare un legame autentico e far sì che anche quando il ragazzo termina il suo percorso in comunità sappia di poter ritornare per ritrovare quel luogo sicuro e le persone che si sono occupate di lui o sappia che quegli educatori, che sono stati presenti ogni giorno, non smettono di pensare a lui solo perché è terminato un percorso e il rapporto professionale che li legava a lui. Credo di poter dire che fare l’educatore di comunità voglia dire avere confini flessibili nello spazio e nel tempo per poter vivere le relazioni che si costruiscono anche oltre quelle mura e quel periodo.
Quando un ragazzo si avvicina al momento della sua uscita spesso vive sentimenti contrastanti, voglia di cambiare, di crescere, ma paura di farlo e di salutare un ambiente conosciuto. Sono sentimenti legittimi, il compito dell’educatore è quello di accogliere questi sentimenti e di sostenere i ragazzi nell’affrontare questo cambiamento, non di sparire proprio sul più bello. Ho sempre pensato che io a 18 anni avevo una famiglia che si occupava di me, vivevo ancora con loro ed ero ancora nel mezzo dei miei studi. Certo, sono consapevole che questi ragazzi devono crescere prima del tempo, ma perché farglielo fare in modo brusco e non cercando di alleggerire queste fatiche per rendere più graduale possibile questo passaggio? Credo che sia un loro diritto ed un nostro dovere!
Questo Natale ho fatto un regalo speciale a una ragazza che ho conosciuto in comunità quando era bambina, sono passati 13 anni da allora, l’ho ricontattata recentemente, lei non ha più le foto di quel periodo, io le custodisco felice di poterla aiutare a ricostruire i ricordi di un suo pezzo di vita importante.
Sono uscita da poco più di un anno dalla comunità in cui lavoravo e di cui mi sentivo molto parte, e aver avuto la fortuna di conoscere Agevolando, aver contribuito a costruire un gruppo di ragazzi, usciti dalle comunità o ancora accolti, mi ha permesso di non interrompere i legami con alcuni dei ragazzi accompagnati fino a quel momento, ricostruire legami con alcuni che non vedevo da anni, a conoscere nuove storie e a non smettere di condividere momenti felici e difficili al loro fianco. Sono molto contenta di aver iniziato ad impegnarmi per far sì che chi lavora nel sistema di accoglienza possa avere uno sguardo che parta prima di tutto dal punto di vista dei ragazzi. Mi manca la quotidianità della comunità, ad essere sincera, ma collaborare con Agevolando mi sta permettendo di proseguire a lavorare in quel mondo di relazioni che ho scoperto il primo giorno di tirocinio in comunità, 15 anni fa, e da cui difficilmente riesci, e soprattutto vuoi, separarti per l’unicità delle emozioni che si provano.
Nadia Agnello
Educatrice e poi coordinatrice di una comunità per adolescenti a Garbagnate Milanese gestita dalla coop, La Grande Casa, attualmente educatrice scolastica, referente del Care Leavers Network della Lombardia e operatrice progetto Agia per il monitoraggio della tutela volontaria dei Minori stranieri non accompagnati.