Miracolo a Catania

Come si racconta un miracolo? Ci si prova, magari partendo dalle basi: Care Leavers Network, Catania, 1, 2 e 3 novembre 2024. Ecco, tutto è accaduto lì, alla terza mobilità del viaggio che abbiamo costruito e che stiamo vivendo grazie al progetto Erasmus+ KA154-YOU Youth participation activities, finanziato dalla Commissione Europea. Dopo Tolè e Cagliari, ecco Catania. Lì, sotto l’Etna e tra gli elefanti eravamo metà di cento, dalla Val d’Aosta alla Sicilia. Lì ci siamo incontrati e abbiamo messo in piedi Percorso ad ostacoli, una performance teatrale nata “dal nulla”. Anzi no, nata da altri sei mesi di incontri e confronto, ognuno nel proprio territorio, ognuno con il proprio gruppo, con il proprio network. Sei mesi in cui abbiamo continuato a lavorare alle raccomandazioni, la voce dei Care Leavers che a marzo, nella quarta e ultima mobilità, porteremo alle Istituzioni, a Roma, traducendo punto per punto bisogni, desideri e consigli.
A Catania però, dopo averle rilette, condivise e preparate per un ultimo giro di giostra invernale, la mobilità s’è fatta teatro. Percorso a ostacoli è nato da ognuno di noi, dalle nostre storie, dai nostri talenti, dal nostro coraggio e dalle nostre facce toste; quelle che in meno di 48 ore ci hanno permesso di allestire mezz’ora di spettacolo: dalle scenografie alle luci, dai monologhi alle danze. Un segreto in realtà dobbiamo svelarlo, e si chiama “Marcopisano”. È stato lui, il nostro referente del Care Leavers Network Sicilia e nostro regista ad accendere la miccia, a preparare la traccia e imbastire gli spartiti per quella stramba, improbabile e incredibile orchestra umana. Insieme a lui, Cecilia, Samanta, Giuseppe, Giorgio, Loris, Adalberto e Adriano (e Marco e Nadia, con il pensiero!) abbiamo percorso le vie della scrittura autobiografica, della scenografia, del teatro, della danza e della musica. Abbiamo messo letteralmente le nostre vite in scena, chi trapanando un barattolo di cibo per gatti per farne un faretto, chi facendola danzare sulle note di Eres Mía di Romeo Santos, chi lasciandola suonare o cantare in una lingua lontana solo per chi non ha le orecchie nel cuore. E noi le abbiamo pure lì. Qualcuno di noi l’ha messa nera su bianco, accogliendo lacrime e ricordi e facendo di una cicatrice una frase; il canovaccio di seta su cui ricamare lo spettacolo.

C’ero una volta io, rincorsa ed afferrata. Strappata e schiacciata. Distrutta e affaticata. E davanti a me c’era lei. Il mio più grande amore e il mio peggior incubo.




In quelle 48 ore di gioventù brulicante, prima che il teatro aprisse le porte a chi ha scelto di venirci a trovare e scoprire, siamo stati una penna che non riesce a scrivere e un faretto che illumina il giusto, un ballo bendato e una coreografia discussa; siamo stati una battuta imparata a memoria, letta o suggerita e un fazzoletto sventolato, sempre che prima ci si fosse ricordati di metterlo in tasca. Siamo stati un triciclo senza pilota e una corsa sul posto; fiatone a chilometro zero. Siamo stati un cavallo giallonero, senza zampe ma con un cuore, anzi due. Siamo stati un albero e tanti corpi, piedi e radici. Pure foglie e soprattutto germogli. Siamo stati coro e monologo, pubblico e attori, palcoscenico e platea, cancellando con un salto il confine che ne vorrebbe fare due spazi distinti. Siamo stati grandi per la prima volta o come la prima volta. Siamo stati – e Dio solo sa quanto può far male – mamme, papà, fratelli, zie e nonni. Siamo stati nessuno di loro, io e basta. Siamo stati Alice, ma anche Gaia e Sara. Forse non siamo stati il Paese delle meraviglie, ma meraviglie e basta sì, sicuro. Siamo stati ragazzi e ragazze, uomini e donne, neo-maggiorenni e minorenni ancora per poco, minorenni di una volta o maggiorenni da un bel po’. Siamo stati persone. 

Per cosa vuoi vivere?
Persona.
Vuoi vivere per una persona?
Sì.
E com’è questa persona?
Difficile.
Difficile. La conosci da molto?
No.
E come vi siete conosciute?
Per sbaglio.
E ti piace così tanto?
Sì.
Moriresti per lei?
Sì.

A Catania, tra la via Etnea e piazza Duomo, tra il mercato del pesce e il Castello Ursino, tra palazzi grigi e ombrelli colorati siamo stati anche cannoli e maritozzi, sarde a beccafico e spremute d’arancia, pizza e cassate, rame di Napoli (la migliore è al pistacchio!) e arancini; al ragù, alla norma, al burro o al nero di seppia. Siamo stati lasagne alla zucca e tortino agli spinaci (grazie Muri a secco!) pasta al pesto, pasta alla norma e pasta gratis (grazie Ostello degli Elefanti!). Siamo stati tutto quello che si può friggere. Siamo stati fritti.
A Catania siamo stati ognuno e ognuna di noi, e ovviamente noi tutti insieme. Siamo stati quelli che a Cagliari non c’erano ma a Tolè sì, e siamo stati quelli che ci saranno di nuovo a Roma, in primavera. Siamo stati quella vita rumorosa che è Agevolando, che a volte non capisci dove inizi e dove finisca, ma sai sempre in che direzione vada: ovunque ci sia uno e una di noi. 
A Catania, in quello spazio meraviglioso che è scenario pubblico, che per tre giorni è stato la nostra casa sull’isola, siamo stati uno spettacolo. Anzi, siamo stati un miracolo, per davvero. Un miracolo umano, terreno. Qualcuno lo ha visto, noi lo abbiamo vissuto. E non lo dimenticheremo tanto facilmente.

Cara Alice, mi sento di ringraziarti perché ti hanno insegnato l’odio e tu hai imparato l’amore, e non hai mai avuto paura di scrivere lettere ridicole e di essere ridicola ogni volta che ti sei innamorata. Ora aspetta. Prenditi un momento, guardati allo specchio, guarda come sei cresciuta e sii felice per tutto quello che hai fatto.


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