Najam e Zain: “Uno zaino può cambiare il destino”
Siamo due cugini, ma siamo molto di più: siamo cresciuti insieme, inseparabili, come due fratelli.
Entrambi proveniamo da famiglie scite che, in Pakistan, sono una minoranza e subiscono spesso vessazioni da parte della maggioranza sunnita.
Oggi nel nostro Paese le cose sembrano migliorate, ma quando eravamo bambini e ragazzi era molto difficile per noi.
Non solo perché membri di una minoranza, ma anche a causa della presenza di tanti gruppi terroristici sul territorio.
Il 16 dicembre 2014 un gruppo di talebani ha fatto una strage in una scuola di Peshawar, uccidendo 145 persone tra cui 132 bambini.
È stato terribile e anche noi per lunghe settimane non siamo potuti andare a scuola, perché tutti avevano paura.
Poi, una notte, ha cambiato la nostra vita.
La mamma di Zain stava male e siamo usciti di casa per comprare una medicina per lei.
Lì abbiamo assistito a un omicidio. Abbiamo scelto di denunciare e, da quel momento, la nostra vita era in pericolo.
Non potevamo fare altro che partire.
Ancora una volta insieme, poco più che ragazzini.
Il viaggio era terribile: dovevamo stiparci in un pick-up, spesso rinchiusi nel bagagliaio. O camminare per lunghi tratti a piedi, senza mangiare e senza bere. Abbiamo visto persone morire, un uomo in viaggio con noi ha avuto un attacco di cuore.
Ma noi eravamo insieme, e questo era l’importante.
Non poteva però durare per sempre. Un giorno viaggiavamo su due macchine diverse, al confine con l’Iran le guardie ci hanno chiesto dei soldi per attraversarlo. Zain aveva nello zaino i soldi di entrambi, ha pagato e ha potuto attraversare il confine.
Ma quando è arrivato il turno mio, Najam, non avevo soldi con me, avevo affidato tutto a mio cugino. Così mi hanno arrestato e messo in carcere.
Il carcere in Iran è terribile: dormivamo in centinaia in una stanza senza finestre, coricati sul pavimento. Faceva un caldo incredibile. Ci trattavano come animali. Io avevo solo 15 anni. Durante il giorno eravamo costretti a lavorare per ripagare il nostro debito: io spaccavo pietre e le spostavo da un posto all’altro come mi chiedevano di fare.
Era l’unico modo per sperare di salvarmi e ripartire.
Dopo 4 mesi di inferno, finalmente, sono stato rilasciato: mi hanno fatto tornare in Pakistan, ma io sapevo che non potevo tornare nella mia città e che dovevo fuggire in Europa. Così ho affrontato nuovamente il viaggio.
Nel frattempo Zain era arrivato in Germania.
Quando, finalmente, siamo riusciti a ritrovarci è stato il giorno più bello della nostra vita.
Dopo un periodo a Karlsruhe siamo arrivati in Italia, a Rimini.
Qui siamo stati accolti, ancora minorenni, nel progetto Sprar “Rimini porto sicuro”. Abbiamo fatto amicizie, conosciuto persone che ci hanno aiutato, lavorato durante la stagione estiva in un albergo.
Il nostro sogno è quello di studiare, perché ci è sempre piaciuto molto. Vorremmo fare l’Università, diventare ingegneri.
Ma la vita in Italia è difficile. E anche se ora abbiamo finalmente ottenuto un documento, presto si concluderà il nostro progetto e dovremo trovare innanzitutto una casa e un lavoro.
Io, Zain, ho un sogno: creare un’associazione per aiutare persone rifugiate. Nel frattempo faccio il meditatore culturale e insieme a Najam facciamo esperienze di volontariato, anche con Agevolando, per aiutare altri ragazzi come noi.
Il nostro modello è Malala, la ragazza pakistana premio Nobel per la pace che si batte per il diritto all’istruzione. Le abbiamo scritto una lettera e abbiamo scritto anche a Papa Francesco e a Justin Trudeau.
Il primo ministro canadese ha addirittura risposto alla lettera di Zain e questo ci ha regalato grande speranza per il futuro.
“Musulmani, cristiani, indù, ebrei…apparteniamo a religione diverse, parliamo lingue diverse, il colore della nostra pelle è diverso ma apparteniamo tutti a un’unica razza: la razza umana”, è il nostro motto e la nostra convinzione. Dobbiamo convivere nella diversità e aiutarci a vicenda.
Solo così il mondo sarà un posto migliore in cui vivere.
A cura di Silvia Sanchini