Tonico 70: “La musica è la mia rivalsa”
La passione per la musica, la scena rap campana, l’incontro con i ragazzi “fuori famiglia” attraverso Agevolando. In questa intervista Tonico 70, nome d’arte di Antonio Cuciniello, salernitano doc e pilastro della scena hip hop italiana, ci racconta la sua storia e la sua visione della musica e l’esperienza del laboratorio che ha condotto insieme ai ragazzi del Care Leavers Network della Campania. Il suo esordio artistico risale al 1996: da quel momento ha fondato collettivi e un’etichetta indipendente, ha lavorato sia come beatmaker che come rapper, si è esibito anche all’estero in città come Londra e Berlino. Il suo ultimo album, uscito a luglio 2018 e realizzato insieme a Morfuco, si intitola “Brothers”. Con Monica Romei e i ragazzi del network ha realizzato il brano “Flowers in the concrete”, e dato vita alla crew: “Vicl & vasc”.
Quando hai iniziato a fare musica? Perché?
Mi sento di rispondere che ho iniziato a fare musica da quando il mio padrino di battesimo mi regalò all’età di 3 anni la mia prima pianola: una Bontempi che ancora custodisco gelosamente. Poi nel 1998, grazie ai miei genitori, ho ricevuto in regalo il mio primo campionatore Akai S2000 che mi ha dato la possibilità autonomamente di produrre musica a casa, dalla mia cameretta. Ho iniziato a registrare tutti i miei amici che avevano la mia stessa passione, incidevamo su musicassetta e poi copiavamo per regalare e diffondere la nostra musica. Perché ho iniziato non saprei dirlo. Era un pensiero fisso; mi svegliavo e pensavo alle rime, ai beat da comporre, pensavo alla musica mentre ero a scuola, mentre mangiavo e non aspettavo altro che incontrarmi con la mia crew e fare freestyle o scegliere su che strumentale scrivere il prossimo brano. Erano anni importanti perché in strada non c’era nulla e molti pericoli erano alla portata di mano. Come la droga, ad esempio, che grazie a questa nostra grande passione siamo riusciti a tenere lontano.
Quali sono i valori che esprimi con la tua musica? E l’hip hop cosa rappresenta per te?
I valori fondamentali che esprimo sono la condivisione e il rispetto verso il prossimo. In 22 anni di musica ho inciso un solo album da solista, perché sentivo la necessità di condividere la mia musica non solo in strada ma anche sui dischi con le mie crew e i miei amici. Infatti la mia musica è legata a personaggi che sono stati molto importanti per me – e viceversa – e per la musica nostrana, come Morfuco, Patto, Stik b, rappers salernitani, o I Funky pushertz, rappers di Torre del Greco, città dove ho inciso molti brani e svariati album. Un altro valore che tendo a sottolineare è la rivalsa tramite la musica. E intendo non una rivalsa fatta di soldi e ricchezza ma una rivalsa fatta di soddisfazioni personali legate al miglioramento della vita interiore. La musica mi ha dato realmente forza nei momenti bui. Perché tutti passano inevitabilmente momenti duri, come ad esempio la perdita prematura di un genitore (come nel mio caso), di un amico, di una persona cara o uno sbandamento legato alle problematiche che possono esserci nella vita di strada. Per me l’hip hop rappresenta la famiglia allargata, un’immagine da aggiungere alle foto di famiglia. E quindi va coltivata, amata, tenuta stretta, specialmente nei periodi di forte tensione.
Com’è stato l’incontro con il mondo dei ragazzi “fuori famiglia” attraverso Agevolando? Cosa hai potuto dare? Cosa hai ricevuto?
Innanzitutto, mi sento di ringraziare Monica Romei, una mia cara amica da sempre, che considero un’eroina dei giorni nostri assieme ai suoi colleghi dell’associazione Agevolando che professionalmente e amorevolmente portano avanti con passione questo progetto, tanto difficile e tra l’altro poco retribuito dalle istituzioni. Il mio primo incontro è stato come un colpo di fulmine: una specie di amore a prima vista. Questi ragazzini mi hanno riportato a quando ero ragazzino e vivevo le mie giornate in un quartiere molto difficile di periferia come lo era Mariconda negli anni ’80 e ‘90. Ho subito fatto sentire ai ragazzi che c’era bisogno di fare crew, di stare tutti assieme, di raccontarci tutto oltre la barriera che può creare la differenza di età. Ho ascoltato le loro storie spesso molto forti, che non nego qualche volta mi abbiano tolto il respiro. Ma pensavo in cuor mio: se sono qui è perché devo fare qualcosa. Il primo incontro è stato un po’ ostico, poi dal secondo ho preso in mano le redini con il mio solito modo di fare e mi sono impossessato della loro attenzione. Da lì in poi amore e rispetto. Mi sento telefonicamente con tanti ragazzi che mi chiedono consigli sul rap o semplicemente su cosa fare nella vita di tutti i giorni, e questo per me è il più grande risultato. Spesso dico ai miei amici di essere una persona molto ricca per questo motivo. Dai ragazzi ho ricevuto bene e amore. Sono bambini e ragazzi cresciuti troppo presto che vogliono attenzione, vogliono essere ascoltati e vanno ascoltati anche sulle cose più banali. Io sono tutt’orecchi perché ho bisogno anche io di sapere per crescere. Spero di continuare perché sono ancora voglioso di sapere, sono sicuro che questa esperienza mi renderà ancora più ricco.
A cura di Silvia Sanchini