Insieme siamo una famiglia. La storia di Mike, Giada e Alessandro
Ha appena compiuto 22 anni, Mike.
Poche settimane dopo il suo compleanno, esattamente 5 anni fa, arrivava in Italia, a Taranto.
Era partito dalla Nigeria a soli 16 anni. Ad accoglierlo don Francesco e l’associazione “Noi&voi”. Ci sono diversi volontari che ogni giorno passano dalla struttura di accoglienza in cui Mike trascorre quattro mesi. Ma con due di loro, Alessandro e Giada, si crea un rapporto diverso.
Così racconta Mike: “Con Alessandro e Giada ci siamo conosciuti e ci siamo scelti. Io avevo un grande sogno, poter studiare. Loro volevano darmi questa opportunità. E così dopo alcuni weekend trascorsi insieme e dopo esserci conosciuti meglio, a ottobre 2014 mi hanno proposto di vivere con loro”.
Oggi Mike studia, frequenta un Istituto alberghiero. Durante l’estate o nei fine settimana lavora in un bar e in un ristorante.
“All’inizio era difficile vivere con una famiglia italiana– lo dice chiaramente – soprattutto perché io parlavo solo inglese e Alessandro e Giada non lo parlavano così bene. Anche capire la cultura italiana e integrarmi non era semplice. Loro non conoscevano la mia storia e io non sapevo nulla di loro. Ma quando sei solo al mondo e ti manca tutto, è importante incontrare persone su cui poter contare.Avevo tanto bisogno di sentire delle persone vicino, perché nel frattempo i miei genitori in Africa erano morti”.
La madre di Mike era infatti stata vittima nel 2014 di un attentato di Boko Haram, qualche mese dopo era morto anche suo padre.
Giada e Alessandro sono spostati dal 2009, vivono nella città dei due mari, che amano molto, e si prendono cura di Mike oggi.
Racconta Giada: “Ho sempre parlato a mio marito del desiderio di iniziare un percorso di Affido, con la speranza di aiutare chi vive nel territorio. Nel 2011 siamo stati contattati dai servizi sociali del Comune. Da quel momento la nostra vita è cambiata con la nostra prima esperienza di accoglienza di due bambini italiani. Un affido part time terminato nel 2014, con il rientro dei minori presso la famiglia di origine. Poi la nostra città si è trovata a dover affrontare l’emergenza migranti e tutti abbiamo iniziato a fare qualcosa. L’idea di poter aiutare uno di questi ragazzi ci ha nuovamente stravolto la vita”.
Continuano, insieme, Giada e Alessandro: “Non dimenticheremo mai il 19 ottobre 2014. Abbiamo fatto vestire Mike per riaccompagnarlo nella struttura in cui viveva, poi ci siamo fatti trovare in pigiama e gli abbiamo detto che se voleva si sarebbe potuto fermare a vivere da noi. La sua faccia era indescrivibile!
Un altro crocevia importante per tutti è stato ottenere la protezione sussidiaria. Mike in quei giorni era fuori città, quando è tornato siamo andati a mangiare in un ristorante e sotto il piatto gli abbiamo fatto trovare un biglietto: ‘Hai vinto il ricorso. 5 anni son’. Una gioia per tutti, Mike ancora conserva quel foglio”.
Tante soddisfazioni, ma non mancano le difficoltà: “Con Mike abbiamo le stesse incomprensioni che avremmo con un figlio italiano, non cambia nulla! Invece più difficile il rapporto con le istituzioni che avrebbero dovuto supportare noi e Mike e che ci hanno lasciato molto soli”.
Ma allora perché una famiglia dovrebbe accogliere? Mike non ha dubbi: “Se potete fare qualcosa per aiutare qualcuno, fatelo. Certo, non è obbligatorio, ma se avete la possibilità di dare una mano, farete qualcosa di bello e vi sentirete felici. Quando io, Alessandro e Giada stiamo insieme siamo felici. E quando li chiamo mamma e papà vedo i loro occhi riempirsi di orgoglio e di gioia”.
“Sappiamo perfettamente che dopo il diploma Mike se ne andrà– conclude la coppia. “Ce lo ha detto anche uno psicologo, in uno dei tanti colloqui che abbiamo fatto nel 2011: ‘Non sono figli nostri quelli naturali, figuriamoci quelli degli altri’. Noi possiamo solo augurargli ogni bene e dirgli che anche in futuro, in qualsiasi momento, mamma e papà saranno sempre presenti”.
A cura di Silvia Sanchini