Tu che mi guardi, tu che mi racconti
Giovedì 13 ottobre al Teatro al Parco di Parma nell’ambito della manifestazione di apertura dell’anno scolastico “Tu che mi guardi, tu che mi racconti” promossa dall’Associazione “Parma per gli altri”, Ciac e dalla “Rete delle scuole per la pace e l’accoglienza” Jerreh, di Agevolando Parma, ha incontrato oltre 400 studenti dei licei. Questo un estratto del suo emozionante e applauditissimo intervento:
“Buongiorno a tutti, volevo dire che il mondo è piccolo. Tutti noi esseri umani, con la pelle di qualsiasi colore, uomini e donne, dobbiamo aiutarci l’uno con l’altro. Noi africani chiamiamo “bro” anche ragazzi che non conosciamo e bro significa brother, fratello. Bisogna essere uniti per conquistare i nostri sogni, la vita è bella ma noi abbiamo dimenticato la felicità e la gioia di vivere per seguire dei falsi miti, come la paura di essere giudicati dagli altri: dai genitori, dagli insegnanti e soprattutto dagli amici. Siamo tutti sulla stessa barca e questo lo posso dire perché sono stato due giorni su un barcone senza mangiare e bere per venire in Europa. Voi dovete studiare molto bene perché avete la possibilità di costruire il vostro futuro e quello che imparate ora non lo dimenticherete mai nella vita e sarà sempre utile. E’ importante essere uniti fra giovani e anziani: noi abbiamo la forza e loro hanno l’esperienza. Noi dobbiamo ascoltare loro ma anche loro devono ascoltare noi. Quello che mi ha detto mia madre prima di partire sono le cose che mi hanno aiutato nei momenti più difficili durante il viaggio. Lei seduta, io in piedi, ma lei vedeva nel futuro delle cose che io non potevo vedere. Viviamo in un mondo che è pieno di odio e di guerre: che colpa abbiamo noi, noi che siamo appena nati? Cosa ci possiamo fare? la nostra forza è leggere, studiare, capire, trovare le parole, io ho capito quanto è importante studiare, proprio perché non ero mai andato a scuola prima di venire in Italia. E’ importante, lo ripeto, per non farsi imbrogliare da nessuno, per saper controllare i nostri politici, quelli che non vogliono farci pensare con la nostra testa. Ma dobbiamo anche imparare a condividere le cose belle che ci succedono e non lasciare indietro nessuno, nessuno deve sentirsi da solo”.