Le 10 raccomandazionidel Care Leavers Networkdell’Emilia Romagna 2014
#perfarciascoltare
#1: “Ognuno di noi arriva in comunità con una propria storia di vita che va riconosciuta, e non sottovalutata”
E’ importante insegnare e favorire la capacità del prendersi cura di se stessi: perché ciò avvenga bisogna dare spazio alla soddisfazione dei propri bisogni, ricevere e darsi dei limiti, imparare a sapersi ascoltare, prendersi cura del proprio ambiente o di qualcosa (pianta o animale). Sarebbe utile incoraggiare il volontariato verso una dimensione di cittadinanza attiva per creare un ponte tra i ragazzi e spingere i ragazzi a superare la logica che la gratuità corrisponda a qualcosa di inutile. Questo anche per gli stranieri che vengono in Italia con un progetto migratorio incentrato sul lavoro. Il volontariato è importante ma per stimolarlo bisogna avere dei modelli di esempio e avere maggiore consapevolezza di sé: se non si aiuta prima se stessi è difficile aiutare gli altri.
#2: “La differenza sta nella qualità dell’impegno, della passione, dell’ascolto attivo, nel genuino interesse verso di noi”
Chiediamo che gli educatori siano appassionati. Per noi è molto importante sentirci ascoltati e sapere che qualcuno tiene veramente a noi. La differenza la fa la qualità dell’impegno, della passione e dell’ascolto attivo, oltre alla capacità di non giudicarci. Chiediamo agli educatori di tenere in considerazione i diversi caratteri dei ragazzi e quindi di interagire, conversare, “punire” anche in base a questi. Non uniformare i comportamenti, perché noi siamo tutti diversi. L’educatore dovrebbe relazionarsi ai ragazzi per come sono e non per come vorrebbe che fossero. Il percorso educativo del minorenne deve tenere conto delle sue passioni: è importante imparare ad ascoltare e ad accogliere gli interessi di ciascun ragazzo. L’educatore deve essere una figura di esempio per noi e pertanto deve essere coerente nelle sue azioni e pensieri. Ai ragazzi che stanno per uscire dalle comunità consigliamo di non rompere il rapporto con gli educatori, soprattutto nella fase finale. Al tempo stesso chiediamo che possa essere garantita la continuità con almeno una figura di riferimento tra il prima e dopo l’uscita, qualcuno con cui noi ragazzi abbiamo un rapporto significativo.
#3: “Accompagnarci, ma al tempo stesso darci la possibilità di sperimentare…senza sostituirsi alla nostra libertà”
Chiediamo agli educatori di poter essere trattati allo stesso modo dei nostri coetanei, potendo usufruire di maggiori autonomie, che comunque vanno valutate da caso a caso. È importante che ci siano date regole e che siano fatte rispettare spiegando però il perché e facendoci riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni. È importante che l’educatore favorisca l’autonomia dei ragazzi lasciandoli sperimentare e senza sostituirsi. Occorre insegnare ai ragazzi l’educazione sessuale, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, la conoscenza delle sostanze. Chiediamo inoltre di poter sperimentare un po’ più di autonomia anche all’interno della comunità, un percorso di sperimentazione di attività di gestione della casa. Il lavoro sulle autonomie parte dal pensiero nei ragazzi, primi protagonisti e responsabili della loro vita. Siamo noi per primi a doverci aiutare nel nostro percorso cercando di essere attivi e propositivi ma occorre che gli educatori ci siano accanto nel percorso in comunità.
#4: “Chiediamo più attenzione alle esigenze di ciascuno, educatori e ragazzi: non può essere solo il criterio economico a guidare le scelte della comunità”
Sarebbe importante che non fosse il criterio economico a guidare le scelte organizzative della comunità. Ogni ragazzo deve essere inserito nel contesto giusto in base alle sue specifiche esigenze. Ai coordinatori delle comunità chiediamo di avere più attenzione anche per gli educatori, di non metterli in condizioni difficili. Chiediamo agli educatori e alle organizzazioni di prendere in considerazione l’idea di avere solo comunità miste, perché in questo modo abbiamo la possibilità di sperimentarci e familiarizzare con il sesso opposto. Chiediamo inoltre di avere dei gruppi eterogenei per favorire l’integrazione tra i ragazzi provenienti da paesi diversi. Proponiamo una suddivisione delle comunità per fasce d’età maggiormente adeguata. La comunità è più adatta per gli adolescenti, mentre per i ragazzi più piccoli suggeriamo Affido o casa-famiglia. In comunità dovremmo sentirci a casa. Non ci piacciono le pareti bianche, i mobili tutti uguali… Sarebbe bello che tutte le comunità potessero essere più calde e accoglienti, che ognuno potesse personalizzare come vuole la sua stanza. Rispetto al cibo ci piacerebbe poter scegliere cosa mangiare e dove fare la spesa, non un menù uguale per tutti. Un’altra cosa importante sono le uscite fra educatori e ragazzi, abbiamo sperimentato che ci aiutano a creare un clima più sereno e familiare tra di noi. Sarebbe importante che la posizione della comunità fosse vicino al centro città perché favorisce l’integrazione.
#5: “Siamo venuti in Italia da minorenni, abbiamo studiato qui, vogliamo che le nostre fatiche e quelle di chi ci ha aiutato vengano riconosciute.”
Chiediamo agli Assistenti Sociali che hanno in carico i Msna di confrontarsi di più con gli educatori, per valutare dei percorsi di maggior autonomia. Siamo forse dei ragazzi di serie B? Chiediamo di poter rinnovare il permesso di soggiorno fino al completamento del percorso scolastico o di tirocinio in atto al momento dell’uscita. Siamo venuti in Italia da minorenni, abbiamo studiato qui, vogliamo che le nostre fatiche e quelle di chi ci ha aiutato vengano riconosciute Tra ragazzi stranieri possiamo aiutarci molto. I ragazzi che sono in Italia da più tempo possono aiutare i nuovi arrivati nelle traduzioni, nel far capire loro come funzionano le cose, le regole della comunità. Il problema degli stranieri maggiorenni che dichiarano la minore età è complesso ma occorre trovare una soluzione a livello politico. Occorre migliorare a livello legislativo il sistema di accoglienza dei minori stranieri, perché le comunità possano accogliere al meglio chi ha veramente bisogno. Abbiamo una cultura, un nome e un punto di vista che vorremmo vedere accolto e rispettato. In Italia non è facile integrarsi. Nei confronti dei ragazzi stranieri c’è ancora una forma di razzismo e vi chiediamo di aiutarci a combatterla.
#6: “Chiediamo di offrirci tutti gli strumenti per gestire bene la nostra vita una volta usciti dalla comunità”
18 anni è un’età importante per la vita di un adolescente, a cui bisogna arrivare preparati: “non darmi un pesce da mangiare, ma insegnami a pescare”, possibilmente con anticipo. Occorre agire a livello preventivo con un percorso educativo che fornisca gli strumenti di cura emotiva e di autonomia. Educatori e assistenti sociali devono fare qualsiasi cosa prima che il ragazzo esca dalla comunità per aiutarlo nell’inserimento lavorativo e sociale: è importante che fin da quando il ragazzo entra in comunità venga responsabilizzato rispetto al proprio futuro. Chiediamo ai Servizi Sociali e alle comunità di aiutarci a fare esperienza in azienda in modo tale da poter uscire dopo i 18 anni con un’adeguata preparazione e con maggiore possibilità occupazionale. Il problema del lavoro, fondamentale autonomia per chi esce dalle comunità, dovrebbe essere risolto in modi creativi: ad esempio incoraggiando la formazione di microimprese composte da ex-ospiti, creando partnership con le aziende e facendo sì che le stesse comunità investano sui loro ragazzi come attraverso, ad esempio, laboratori interni.
#7: “18 anni è troppo presto per cavarsela… non lasciateci soli!”
18 anni è troppo presto per fare uscire un ragazzo dalla comunità, bisogna almeno aspettare che finisca la scuola e che abbia un lavoro, una stabilità. Per cercare casa e lavoro e per imparare a gestire correttamente il denaro l’aiuto degli educatori è molto importante, da soli non possiamo farcela. Dopo l’uscita dalla comunità consigliamo che per un periodo gli educatori della comunità che già conoscono il ragazzo continuino a fare “tutoraggio” sia sugli aspetti pratici ma anche solo per consigli o quattro chiacchiere. Chiediamo un aiuto anche per ottenere la patente. L’opportunità di un percorso psicologico va data a tutti a partire dall’entrata in comunità. Chiediamo che le nostre Assistenti Sociali ci seguano anche dopo i 18 anni fino alla fine del percorso scolastico o di tirocinio e quindi alla completa autonomia. Da soli è troppo difficile. Per i ragazzi stranieri: fondamentale è aiutarci anche nel rinnovo dei documenti, nella conversione del permesso di soggiorno.
#8: “Chiediamo più ascolto e più attenzione. Visitate spesso le comunità e verificate che i ragazzi stiano bene!”
Chiediamo ai Servizi Sociali di poter conoscere il nostro Tutore durante il percorso in comunità. Talvolta non sappiamo nemmeno chi sia! Chiediamo ai nostri Assistenti Sociali di ascoltarci maggiormente e di pensare a cosa è più giusto in base al nostro carattere e al nostro comportamento dentro e fuori la comunità. Gli assistenti sociali, i politici, i responsabili dei servizi sociali dovrebbero visitare più spesso i ragazzi, vedere come stanno e cosa fanno, girare nelle comunità. Agli Assistenti sociali diciamo che è importante chiarire bene con i ragazzi i tempi di permanenza in comunità. Ai politici chiediamo più attività e proposte per i giovani nelle nostre città! Spesso infatti non c’è nulla da fare e questo per noi ragazzi è molto dannoso… Chiediamo alle comunità di collaborare di più con le forze dell’ordine e a queste di conoscere maggiormente il lavoro delle comunità. Gli educatori ascoltano ma a volte lavorano poco in rete sia con gli psicologi che più in generale con i servizi. Occorre fare di più.
#9: “Occorre che anche la famiglia di origine sia al corrente del percorso che stanno facendo i propri figli”
Chiediamo ai Servizi Sociali di valutare al meglio ciascuna situazione e di non pensare che l’affido sia sempre migliore della comunità. Più in generale è importante che né le famiglie affidatarie né le Comunità educative si ritengano sostitutive rispetto alla nostra famiglia d’origine. E’ fondamentale che venga fatto un accompagnamento attraverso un lavoro sulle famiglie che possa aiutare a trovare un confronto il più sereno possibile tra ragazzi e genitori. Occorre non agire solo sul problema ma anche sulle risorse e che la famiglia sia al corrente del percorso di crescita dei figli.
#10: “Non siamo figli di nessuno…ma figli della collettività. Raccontate senza giudicare e con sensibilità le nostre storie”
Alla cittadinanza tutta chiediamo maggiore attenzione e sensibilità alle nostre esigenze, alle nostre storie di vita. Essere cresciuti lontano dalla propria famiglia o con famiglie in difficoltà non significa essere figli di nessuno, siamo figli della collettività. Anche ai giornalisti chiediamo di non giudicare né noi né le nostre famiglie, di raccontare con sensibilità le nostre storie, di non farci sentire emarginati, di non amplificare i nostri drammi e di approfondire meglio tutto ciò. Siamo come tutti gli altri e anche noi possiamo e vogliamo dimostrare quanto di positivo c’è dentro di noi…conoscendoci meglio lo scoprireste anche voi.
10 Raccomandazioni (testo integrale)
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